
Considerazioni introduttive al convegno “Il codice dei contratti pubblici e il suo correttivo: un bilancio di due anni di attività”
La P.A. come contraente tra interesse pubblico e rispetto della concorrenza (Considerazioni introduttive al convegno “Il codice dei contratti pubblici e il suo correttivo: un bilancio di due anni di attività”)
di Filippo Patroni Griffi
1. Premessa
Il tema di questo convegno è di rilevante attualità, in primo luogo, per la ragione di strutturale e permanente contingenza – se mi si consente l’ossimoro, in realtà solo apparente − che per la pubblica amministrazione essere una contraente costituisce una esigenza sottesa a ogni ordinamento, vuoi perché essa deve fornirsi di mezzi per lo svolgimento delle proprie attività, vuoi perché, quanto meno da che esiste lo Stato moderno, l’amministrazione è una committente per la realizzazione di opere e servizi destinate all’uso pubblico e quindi permeate, sul piano giuridico, da un interesse pubblico, la misura della cui rilevanza si riflette, sul piano positivo, nella quantità e qualità di regole ad hoc che disciplinano tale attività.
Ma per lo studioso di diritto amministrativo il tema costituisce anche un interessante momento di riflessione sulla evoluzione, storica e concettuale, della contrattualistica pubblica: questa evoluzione rivela, più che incertezze dottrinarie, che pure ci sono state, e rilevanti, l’oscillazione della dottrina medesima e della stessa legislazione tra due orientamenti contrapposti, arricchiti da sfumature intermedie: la tendenza a esaurire la disciplina della contrattualistica pubblica all’interno delle pubbliche amministrazioni, con un diritto speciale deputato a regolare i rapporti tra amministrazioni e contraenti; per converso, la tendenza a estendere anche ai contratti di cui fosse parte una pubblica amministrazione il diritto dei privati, talora qualificato come diritto comune, in relazione a una asserita capacità generale delle figure soggettive pubbliche, comprensiva quindi della capacità negoziale. Dilemma, questo della oscillazione tra diritto amministrativo e diritto privato, che permane nel nostro ordinamento non con riferimento soltanto alla tematica della contrattualistica, ma in generale in tutto il settore dell’intervento pubblico nell’economia (in realtà non solo in quello): basti pensare ai problemi connessi ai moduli organizzatori delle aziende pubbliche e poi degli enti pubblici economici e delle imprese pubblice fino alle società pubbliche nelle varie tipologie. E se il tema stuzzica la dottrina e costringe la giurisprudenza a confrontarsi sull’intreccio tra diritto privato e diritto pubblico nell’organizzazione e nell’attività di questi soggetti di diritto, occorre riconoscere che il tema è soprattutto di diritto positivo; e che questo è naturalmente influenzato dalle scelte, che poi si rivelino giuste o sbagliate è un altro discorso, con cui il legislatore intende disciplinare l’intervento pubblico nell’economia e i rapporti tra soggetti pubblici e operatori privati in questo settore, e segnatamente sul mercato.
Il codice dei contratti pubblici nei suoi vari aspetti problematici, innovativi ed economici, sarà oggetto delle singole relazioni che, dopo l’inquadramento di ordine sistematico del prof. Mattarella sulle tendenze della codificazione in materia, riguarderanno punti di grande interesse: l’impatto della disciplina sulle imprese, la cooperazione tra pubblico e privato, la reingegnerizzazione dei procedimenti grazie alla loro digitalizzazione, il ruolo dei comitati tecnici consultivi.
Io mi limiterei a porre alla vostra attenzione due profili generali: il “senso” di una disciplina pubblicistica nella contrattualistica di cui sia parte una pubblica amministrazione; il ruolo dei princìpi generali nel codice dei contratti.
2. Una disciplina “speciale” per i contratti pubblici
Il “senso” di una disciplina ad hoc per i contratti di cui sia parte una pubblica amministrazione prescinde, in qualche modo, dalla riconducibilità di questa disciplina al diritto pubblico o al diritto privato. In effetti, è ipotizzabile in astratto disciplinare i contratti delle pubbliche amministrazioni sia con regole di diritto pubblico, segnatamente di diritto amministrativo, sia con regole di diritto privato “speciale”. La seconda evenienza si verifica negli ordinamenti “a diritto comune”, ma anche in ordinamenti come il nostro, ogniqualvolta il ricorso a istituti di diritto privato sia ammesso in via generale, ma con alcune deroghe (come avviene nel settore delle società pubbliche): questo perché il diritto privato, e lo stesso “diritto comune”, consente che la disciplina generale di un fenomeno subisca deroghe in ragione, per esempio, della natura dei soggetti contraenti.
Il nostro però è un ordinamento a diritto amministrativo e noi ci porremo di conseguenza in questa prospettiva.
2.1 In origine, nella legislazione e nella scienza giuridica a cavallo tra Ottocento e Novecento i contratti della pubblica amministrazione erano ricondotti per lo più nella sfera, prima ancora che privatistica, direi “privata” della pubblica amministrazione, riguardata alla stregua di una sorta di attività interna, come già era considerata nello Stato assoluto. In altre parole, la scienza giuridica dell’epoca negava che l’attività privata dell’amministrazione fosse strumento idoneo a realizzare l’interesse pubblico ed era vista unicamente come attività strumentale al procacciamento di mezzi.
Con l’avvento dello Stato a diritto amministrativo si verificano due fenomeni.
In primo luogo, su di un piano di ordine generale, viene attribuita rilevanza esterna, ai rapporti tra amministrazioni e individui o imprese: con la conseguenza che anche nel settore contrattuale le relazioni tra amministrazioni contraenti e altri soggetti dell’ordinamento acquistano rilevanza giuridica.
In secondo luogo, con l’affrancamento del diritto pubblico dal diritto privato, la tendenziale negazione del binomio attività di diritto privato-interesse pubblico portò, quasi per contrappasso, a interpretare in chiave pubblicistica figure certamente contrattuali, ma finalizzate a interessi collettivi, come gli appalti di lavori e forniture pubbliche (oltre che la concessione di beni pubblici, secondo lo schema poi definito di concessione-contratto, e lo stesso rapporto di impiego con le pubbliche amministrazioni).
Di seguito, nei primi decenni del nuovo secolo, non solo si negò la concezione secondo cui l’inerenza di un contratto all’interesse pubblico ne stravolgesse la natura privata, ma, all’opposto, si acquisì la consapevolezza dell’utilizzabilità del contratto di diritto privato dalla p.a. per adempiere ai suoi compiti. Si delineò così chiaramente (Amorth) la distinzione tra attività privata dell’amministrazione − che Giannini poi sottolineò essere relegata ad ambiti assai ristretti − e attività amministrativa di diritto privato in cui vi è funzionalizzazione dell’attività di diritto privato all’interesse pubblico.
La vicenda è caratterizzata – come rilevavo prima − da due distinte e quasi contrapposte tendenze.
Da un lato, il permanere di “privilegi” per l’amministrazione contraente, la quale fu sottratta ad alcune delle regole del diritto civile dei contratti (basti pensare alla negazione della responsabilità precontrattuale), mentre le furono riconosciuti poteri incidenti sullo stesso rapporto contrattuale; vicenda peraltro che si è andata a esaurire nell’ultimo ventennio del XX secolo, in cui si è assistito ad una progressiva erosione dei privilegi dell’amministrazione e all’incremento sul piano normativo dei vincoli a essa posti in campo contrattuale. Si è così affermato il principio secondo cui, salve espresse eccezioni di diritto positivo, all’amministrazione – in quanto anche soggetto di diritto comune, titolare di una generale capacità privatistica − è riconosciuta piena capacità negoziale, purché nei limiti delle sue finalità istituzionali e per il raggiungimento delle stesse[1].
Dall’altro lato, l’esplicazione della capacità negoziale dell’amministrazione e la sua necessaria preordinazione all’interesse pubblico (e dunque il convivere della doppia capacità negoziale e autoritativa che si ritrova in sintesi nel concetto di “contratto pubblico”) ha richiesto che essa si accompagnasse ad un procedimento ad hoc, la cd. procedura di evidenza pubblica, che – si badi − costituisce “una categoria procedimentale, che dal punto di vista sostanziale può essere applicata a contratti ordinari, speciali e ad oggetto pubblico”[2], secondo la nota tripartizione gianniniana.
Giannini si dedica quindi alla forma del procedimento, in relazione alla quale si trova conferma che l’attività amministrativa di diritto privato è, al pari di quella amministrativa, funzionalizzata e quindi assoggettata a regole di diritto pubblico, in ragione di una scelta di diritto positivo, che, in termini giuridici, rappresenta la causa attributiva del potere. E ci torneremo tra breve.
L’espressione procedura a evidenza pubblica – come credo pacifico, quanto meno da Giannini in poi − indica il procedimento con cui l’amministrazione esteriorizza la ragione di pubblico interesse per la quale contrae e che accompagna la formazione della volontà contrattuale. Tale procedimento è teso a garantire che la formazione della volontà dell’amministrazione si formi correttamente e a tal fine è teso a esplicitare le ragioni per cui la pubblica amministrazione stipula il contratto, a individuare le condizioni a cui essa contrae e a selezionare il contraente privato. E si conclude con l’aggiudicazione del contratto a seguito della procedura di gara, nelle sue varie (e attuali, diremmo) forme.
Sul piano della teoria generale la distinzione tra fase con cui si addiviene alla stipula del contratto e fase successiva alle vicende del rapporto, assoggettate l’una alla disciplina pubblicistica e l’altra alla disciplina privatistica, è resa possibile dalla distinzione, anche in diritto privato, tra procedimento di formazione del contratto e fattispecie contrattuale da cui trae origine il (successivo) rapporto; e può essere collegata alla tesi del Nicolò secondo cui è caratteristica del nostro tempo che uno stesso rapporto intersoggettivo, anche di natura privatistica, sia regolato da norme di diritto civile e di diritto amministrativo, che si pongono in unità e costituiscono un sistema normativo unitario riconducibile a un “diritto civile modernamente inteso”.
La considerazione della suddetta distinzione tra le due fasi è rinvenibile, sotto il profilo dell’individuazione dell’ambito materiale del codice dei contratti, nella giurisprudenza costituzionale (v. tra le altre, sentenza 9 luglio 2019, n. 166), in cui si afferma, quanto alle discipline della scelta del contraente nelle procedure ad evidenza pubblica e del perfezionamento del vincolo negoziale e della sua esecuzione, che le disposizioni del codice dei contratti pubblici regolanti le procedure di gara sono riconducibili alla materia della tutela della concorrenza e vanno ascritte all'area delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali, nonché delle norme con le quali lo Stato ha dato attuazione agli obblighi internazionali nascenti dalla partecipazione dell'Italia all'Unione europea; le disposizioni dello stesso codice che regolano gli aspetti privatistici della conclusione ed esecuzione del contratto sono invece riconducibili all'ordinamento civile e recano princìpi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e norme fondamentali di riforma economico-sociale. Nel delineato contesto, l’area in cui residui una potestà legislativa regionale è assai ridotta, per lo più di dettaglio, e comunque non può riguardare la disciplina dall’evidenza pubblica, della gara in senso stretto.
La distinzione tra fase inerente alla gara e vicende del contratto stipulato ha inevitabili ripercussioni innanzi tutto sul piano della patologia delle serie di atti amministrativi sul contratto e quindi sul rapporto contrattuale.
In passato si affermava che le due fasi erano indipendenti tra loro quanto al profilo della validità, nonostante il collegamento oggettivo degli atti che le compongono, ma si poneva in concreto un problema di “contatto” tra le due vicende, perché il negozio risultava essere in qualche modo condizionato nell’efficacia dagli atti del procedimento di evidenza.
Anche qui l’evoluzione è stata significativa:
- in un primo tempo, si è ritenuto che l’annullamento dell’aggiudicazione determinasse l’annullabilità relativa del contratto, in quanto tale invocabile soltanto dall'amministrazione committente ex art.1441 e 1442 cod. civ., rimanendo estranea alla vicenda proprio l’impresa che avesse ottenuto in sede di giurisdizione amministrativa l’annullamento dell’aggiudicazione (che, all’epoca e fino al recepimento della direttiva comunitaria, non aveva neppure tutela risarcitoria);
- la giurisprudenza, sia civile sia amministrativa, sensibile alla posizione dell’impresa pretermessa, ha poi diversamente qualificato la ricaduta della illegittimità della procedura di evidenza sul contratto, qualificandola come nullità o inefficacia a diverso titolo, sì da riconoscere il travolgimento dei diritti acquisiti dall’aggiudicatario per effetto dell'atto negoziale (la tutela così riconosciuta trovava però il limite di dover ricorrere a due distinti giudici);
- attraverso il recepimento della direttiva ricorsi, il codice del processo (artt. 121-125) 1) garantisce ora una tutela effettiva alle imprese tramite -) l’attribuzione in via esclusiva al giudice amministrativo delle controversie sia della procedura di evidenza sia della sorte del contratto stipulato (contratto che, attraverso la previsione dello stand still e del rito accelerato dell’appalto, non dovrebbe essere stipulato prima della decisione dell’impugnazione degli atti di gara);
2) per contro l’interesse pubblico ha apposita valutazione perché non opera l’automatismo delle tradizionali categorie civilistiche e al giudice amministrativo (con diversa graduazione a seconda della tipologia del vizio riscontrato) è rimessa la decisione se mantenere in vita o meno il contratto e se mantenerlo in via totale o con salvezza delle parti già eseguite. Ove l’interesse pubblico al mantenimento del contratto sia prevalente l’impresa pretermessa sarà soddisfatta con il risarcimento del danno.
La suddetta distinzione trova spazio anche nel nuovo codice dei contratti pubblici, nel quale il titolo primo si chiude con l’art. 12 che contiene una doppia clausola di rinvio esterno che ricalca all’evidenza i due distinti momenti della procedura ad evidenza pubblica e rapporto civilistico che nasce dal contratto a seguito dell’aggiudicazione: “1. Per quanto non espressamente previsto nel codice:
a) alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241;
b) alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile”.
2.2 Ma ciò che muta nel tempo -come si accennava- è anche la causa attributiva del potere, cioè l’ottica della “funzione”.
L’originaria disciplina del procedimento contrattuale rispondeva a logiche eminentemente contabilistiche e fu motivata dall’esigenza che il denaro pubblico fosse ben speso (Giannini rileva che tale la funzionalizzazione dell’attività contrattuale era tesa originariamente a porre freno agli abusi dei fornitori pubblici e dunque a produrre un risparmio di spesa per la pubblica amministrazione). In quest’ottica, il procedimento di evidenza pubblica mirava alla scelta del miglior contraente per la pubblica amministrazione, sia per il profilo della qualità, e quindi dell’affidabilità del contraente, sia per il profilo dell’offerta contrattuale e quindi della bontà della spesa.
La rilevanza giuridica degli interessi in gioco, derivante dalla rilevanza esterna dell’attività amministrativa di diritto privato attraverso la sua procedimentalizzazione, consentì, con il tempo, di dare tutela anche ai soggetti che aspiravano a contrarre con l’amministrazione e ciò si ricollegava a una più generale esigenza, non solo di tutela dei diritti delle imprese, ma anche di imparzialità dell’amministrazione e di trasparenza del relativo processo decisionale.
In altre parole, nella contrattualistica pubblica convergono due distinte esigenze, che danno luogo a due distinti piani di tutela: sul piano esterno, la tutela della concorrenza e della livera circolazione, di derivazione unionale; sul piano interno, i principi di buon andamento (la scelta del miglior contraente per l’amministrazione) e di imparzialità (la pari opportunità tra gli aspiranti a contrarre con l’amministrazione).
Anche gli sviluppi successivi si muovono lungo questi due piani:: quello della trasparenza del processo decisionale che si realizza anche con il rispetto delle forme del procedimento; e quello, di diretta derivazione europea, di tutela della concorrenza.
Quest’ultima esigenza muta proprio lo scenario di contesto, perché immette il vecchio procedimento ad evidenza pubblica sul mercato.
L’adeguamento del nostro ordinamento alle direttive comunitarie in materia di appalti, intervenute a garanzia delle libertà transfrontaliere e dell’effettiva competizione tra gli imprenditori di tutti gli Stati membri, ha radicalmente mutato la prospettiva della procedura di evidenza dalla tutela dell’amministrazione (che pure resta) a quella delle imprese che ambiscono a contrarre con la stessa.
Anche la giurisprudenza costituzionale riconduce la procedura di evidenza alla concorrenza ed esattamente alla “concorrenza per il mercato”, precisando (tra le altre C. Cost. 4/2022) che le procedure concorsuali di garanzia assicurano l’opportunità per tutti gli operatori economici di contrarre con l’amministrazione. In questa accezione, attraverso la tutela della concorrenza, vengono perseguite finalità di ampliamento dell'area di libera scelta dei cittadini e delle imprese, queste ultime anche quali fruitrici, a loro volta, di beni e di servizi.
Se non che, per una eterogenesi dei fini, il “combinato disposto” della trasparenza del processo decisionale e dell’attuazione degli obblighi europei, accanto ai benefici effetti di apertura del mercato e di garanzia della correttezza della procedura di evidenza, ha comportato anche alcuni effetti negativi. Gli obblighi di trasparenza si sono spesso risolti nel burocratico adempimento degli oneri di pubblicità; il legislatore nazionale ha ritenuto non solo di recepire i vincoli derivanti dalle direttive, ma ha imposto ulteriori oneri amministrativi (cd. Gold plating che il nuovo codice intende arginare). Conseguentemente l’amministrazione ha applicato il diritto dei contratti pubblici in maniera estremamente formalistica e ciò ha determinato una crescita del contenzioso, per così dire, “sulle regole”, sì da determinare un conflitto, sul piano generale, tra rispetto delle regole e conseguimento del risultato che è alla base del procedimento funzionalizzato. In altre parole, può dirsi che, sia pure nella patologia del fenomeno riguardato dal lato dell’amministrazione, si è verificato che l’applicazione formalistica della procedura di evidenza, nelle sue estreme conseguenze, ha portato alla lettura della gara come “bene in sé”, a detrimento dell’interesse finale alla conclusione ed esecuzione dei contratti (a sua volta strumentale rispetto all’interesse pubblico general, per come sin qui delineato, alla realizzazione di opere e alla fornitura di servizi).
3. Il nuovo codice e il ruolo dei princìpi: in particolare, il principio del risultato
In tale situazione, e con riguardo anche alle criticità riscontrate, è intervenuto l’attuale codice dei contratti pubblici (d.lg. 31 marzo 2023, n. 36, come modificato dal d.lg. 31 dicembre 2024, n. 209)[3], che presenta le seguenti caratteristiche (esplicitate nella relazione al codice):
- ha l’intento di semplificare e rendere più intelleggibili le norme (nel corpo del codice si sono ridotte di quasi un terzo le parole e i caratteri utilizzati; mentre vi è una notevole riduzione delle norme attuative);
- è una riforma organica dei contratti pubblici, non adottata in attuazione di direttive UE;
- è auto-applicativo: non richiede più un regolamento attuativo, avendo incluso la maggior parte delle disposizioni esecutive all’interno degli allegati;
- detta una disciplina sistematica, che segue lo sviluppo della contrattazione: si inizia con i principi, si prosegue con il libro dedicato all’appalto in tutte le sue singole fasi, si finisce con i rimedi e con l’autoesecutività.
E siamo al secondo aspetto su cui intendo schematicamente soffermarmi: la codificazione dei “principi che sovraintendono all'intera materia”.[4]
Nella Relazione di accompagnamento allo schema del codice si legge: «i principi rendono intellegibile il disegno armonico, organico e unitario sotteso al codice rispetto alla frammentarietà delle sue parti, e consentono al tempo stesso una migliore comprensione di queste, connettendole al tutto. I principi generali di un settore esprimono, infatti, valori e criteri di valutazione immanenti all'ordine giuridico, che hanno una “memoria del tutto” che le singole e specifiche disposizioni non possono avere, pur essendo ad esso riconducibili».
Il cambio di passo rispetto al secondo codice è netto: il d.lgs. n. 50/2016 sotto la equivoca rubrica «Princìpi generali» si limitava a delineare l'ambito di applicazione del codice mentre occorreva passare all’art. 30 per rinvenire un elenco di alcuni principi. Era lasciato all'interprete la valutazione del peso specifico di ciascun principio e del rapporto tra essi.
Diversamente, il nuovo codice sotto la denominazione “principi generali” pone dodici articoli che effettivamente declinano i princìpi della materia.
Molti di essi si rinvenivano già nella disciplina europea (per es., il principio di accesso al mercato e il principio di autoorganizzazione), ovvero nella Costituzione e nella legge sul procedimento amministrativo (per es., il principio della fiducia, i principi della buona fede e dell'affidamento, i principi di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale, ecc.), ma la codificazione di essi di per sé è già un risultato positivo ed apprezzabile.
Inutile ricordare le essenziali funzioni, interpretativa e di soluzione delle lacune, che i principi della materia assumono.
Nei 12 articoli di cui il titolo si compone compaiono tre “princìpi fondamentali” (detti anche super-princìpi) e da principi di dettaglio (o principi di base). Lo spartiacque è costituito dall’art. 4 il quale, intitolato “Criterio interpretativo e applicativo”, prevede che “Le disposizioni del codice si interpretano e si applicano in base ai principi di cui agli articoli 1, 2 e 3”.
Appartengono al primo gruppo il principio del risultato, della fiducia e dell'accesso al mercato, i quali fungono ex art. 4 anche da criteri interpretativi e applicativi delle norme del codice.
Diversamente, sono riconducibili al secondo gruppo i principi di buona fede e di tutela dell'affidamento, i principi di solidarietà e sussidiarietà orizzontale, il principio di auto-organizzazione amministrativa, il principio dell'autonomia contrattuale, il principio di conservazione dell'equilibrio contrattuale, il principio di tassatività delle cause di esclusione, il principio della massima partecipazione, nonché il principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali.
Due parole sul principio del risultato (art. 1), che costituisce la declinazione, nel settore dei contratti pubblici, del principio di buon andamento e dei correlativi canoni di efficienza, efficacia ed economicità.[5]
Consiste nell’obiettivo dell’amministrazione appaltante di perseguire «il risultato dell'affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza».
La sua codificazione è tesa a rispondere al rallentamento che il settore dei contratti pubblici, specie in fase esecutiva, ha risentito in ragione della tendenza delle amministrazioni a un’applicazione formalistica delle procedure di gara asseritamente a tutela della concorrenza. Ebbene, il secondo comma dell’art. 1 restituisce alla concorrenza la sua originaria valenza di mezzo rispetto al fine pubblico: “La concorrenza tra gli operatori economici è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti”.
Il principio del risultato costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto.
Esso (per come declinato dall’art. 1):
- espressamente è enunciato tanto per la fase dell’evidenza che per quella dell’esecuzione;
- si esplica nella massima tempestività e nel miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo;
- deve conformarsi ai principi di legalità, trasparenza e concorrenza, per cui si tratta di un principio che non è libero, ma è condizionato al rispetto di altri principi (in particolare, alla cd. legalità di risultato): in un certo senso, può dirsi che è un principio conformante l’attività amministrativa e l’interpretazione delle norme e a sua volta conformato dai richiamati principi di ordine costituzionale;
- è orientato al raggiungimento degli obiettivi dell'Unione europea, seguendo perciò un approccio sostanzialistico e antiformalistico, tipico del diritto UE;
- è criterio “prioritario” per l’esercizio della discrezionalità e per individuare la regola del caso concreto,
- è anche criterio per valutare la responsabilità del personale.
In dottrina la sua enunciazione ha lettura controversa: tra chi afferma che questo non sia altro che una codificazione di un principio generale del diritto amministrativo già applicato a livello processuale nella contrattualistica pubblica (segnatamente del principio di strumentalità delle forme: in questo senso anche Cons. Stato, sez. IV, 20 aprile 2023, n. 4014) e chi invece vi attribuisce una portata innovativa volta a creare un’amministrazione orientata al risultato.
Tra le sue prime applicazioni, segnalo una controvertibile applicazione in tema di soccorso istruttorio: se, per T.A.R. Bolzano, (Trentino-Alto Adige) 25 ottobre 2023, n. 316, dal principio del risultato discende “che il ricorso al soccorso istruttorio/procedimentale non costituisce una mera facoltà per la stazione appaltante, ma un vero e proprio onere procedimentale ogniqualvolta esso sia strumentale a sanare irregolarità e/o omissioni afferenti alla documentazione presentata dagli operatori economici che potrebbero impedire di selezionare il miglior concorrente quale esecutore dell'appalto”; per converso, Cons. Stato, sez. V, 12 aprile 2024, n. 1372 avverte, sempre in tema di soccorso istruttorio, che “non è … consentito il soccorso istruttorio attivato non tanto per integrare e chiarire la documentazione prodotta a comprova della dichiarazione, ma per rettificare il contenuto della dichiarazione medesima nella sua integralità” (Cons. Stato, V, 22 febbraio 2021, n. 1540). Ed invero, nell’ambito del settore dell’evidenza pubblica, i principi del favor partecipationis e del risultato non possono mai confliggere con il principio della par condicio fra i concorrenti”.
Del pari, per Cons. Stato, sez. III, 29 dicembre 2023, n. 11322 “il principio del risultato è volto non solo alla rapidità e all’economicità ma anche alla qualità della prestazione oggetto di aggiudicazione, qualità garantita anche dai requisiti di partecipazione, con conseguente legittimità dell’esclusione del concorrente che abbia presentato la migliore offerta tecnica ed economica ma non abbia comprovato il possesso dei requisiti di partecipazione richiesti dalla normativa di gara”. E, per la stessa ragione (TAR Campania, sez. III, 10 ottobre 2023, n. 5528), “il principio del risultato radica il diritto della stazione appaltante a non aggiudicare la procedura di gara per inidoneità delle offerte tecniche presentate” o a revocare una gara “che potrebbe condurre all’acquisizione di prodotti formalmente conformi alle previsioni della lex specialis ma non rispondenti alle esigenze della pubblica amministrazione” (Tar Lazio, sez. I-bis, 12 marzo 2024, n. 5004).
Infine, e con questo concludo, mi sembra significativo richiamare una pronuncia del Consiglio di Stato che sottolinea – direi − la necessaria compatibilità tra il principio del risultato e i tradizionali princìpi di legalità e trasparenza; dal che discende, altresì, un allargamento dell’area del sindacato giurisdizionale a fronte di un incremento della discrezionalità di cui gode l’amministrazione.
Cito testualmente: “In sede di gara pubblica l'importanza del risultato nella disciplina dell'attività dell'amministrazione non va riguardata ponendo tale valore in chiave antagonista rispetto al principio di legalità, rispetto al quale potrebbe realizzare una potenziale frizione: al contrario, come pure è stato efficacemente sostenuto successivamente all'entrata in vigore del richiamato d.lg. n. 36 del 2023, il risultato concorre ad integrare il paradigma normativo del provvedimento e dunque ad ampliare il perimetro del sindacato giurisdizionale piuttosto che diminuirlo, facendo transitare nell'area della legittimità, e quindi della giustiziabilità, opzioni e scelte che sinora si pensava attenessero al merito e fossero come tali insindacabili” (Consiglio di Stato sez. III, 26/03/2024, n. 2866).
[1] Per una ricostruzione, in chiave storica e di diritto positivo, dei rapporti tra capacità negoziale, “norme imperative di interesse pubblico” e procedimento amministrativo di evidenza pubblica, cfr, V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, Torino 2021, 1051 ss.. Per la dottrina più risalente sul sistema di realizzazione delle opere pubbliche, ci si limita a richiamare M.S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano…, 483 s.; M.A. Carnevale Venchi, Opere pubbliche (ordinamento), in Enc. Dir., Milano 1980, 332 ss.
[2] M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano 1970, 671
[3] ) La stagione della codificazione in questa materia è stata inaugurata con il d.lgs. n. 163/2006 (il cd. Codice De Lise – emanato nel recepimento delle dir. 17 e 18/2004), un codice strutturato in modo semplice e chiaro, accompagnato da un regolamento di attuazione. Il suo impianto è stato rovinato dalla miriade di interventi emendativi (per lo più di natura episodica e senza un logico filo rosso che li legasse) sul testo succedutisi nei successivi dieci anni. Il successivo d.lgs. n. 50/2016 (recepimento delle direttive 23, 24, 25/2014) ha avuto anch’esso storia travagliata. Oltre al massiccio intervento del primo decreto correttivo dell’aprile 2017, è stato oggetto di importanti modifiche con il decreto cd. sblocca cantieri del 2019 e ha poi vissuto la stagione delle deroghe per fronteggiare stati emergenziali o comunque eventi eccezionali ((i terremoti del centro Italia e il Covid). La sua attuazione è stata demandata dapprima alle linee guida Anac e poi (con il decreto sbocca cantieri) ad un regolamento unico di attuazione, la cui bozza non è stata mai approvata. La stratificazione di norme e le discipline in deroga hanno portato incertezze interpretative.
[4] Sul tema, vd. gli interessanti spunti di riflessione offerto a G. Morbidelli, Introduzione ad un dibattito sui principi nel nuovo codice dei contratti pubblici, in I principi nel nuovo codice dei contratti pubblici, Firenze 2023, 7 ss.
[5] Su tale principio, vd. di recente, anche per i numerosi riferimenti dottrinari, F. Cintioli, Il principio del risultato nel nuovo codice dei contratti pubblici, in I princìpi…, cit., 21 ss.