
La revisione prezzi nei contratti pubblici-Avv. Anna Marcantonio
La revisione prezzi nei contratti pubblici
I. Premessa
La materia della revisione prezzi è stata sempre connotata da un principio di specialità dei rapporti con le Pubbliche Amministrazioni che ha, di base, fatto escludere l’applicabilità dei principi normativi del Codice civile, primo fra i quali quello recato dall’art. 1664, co. 1, in tema di appalto privato, secondo cui le parti (appaltatore e committente) hanno diritto di chiedere la revisione del prezzo pattuito se, per effetto di circostanze imprevedibili, si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d'opera tali da determinare una variazione in più o in meno del prezzo complessivo dell’opera superiore al 10% rispetto a quello convenuto[1].
La ratio alla base di questa “specialità” della materia è stata rintracciata dalla giurisprudenza nella tendenziale necessità di “restringere il margine di scelta “discrezionale” dell’amministrazione committente, vincolandola variamente a stringenti e ben definiti presupposti sostanziali e procedimentali (posti per lo più a tutela dell’economicità dell’azione amministrativa e per ragioni di controllo della spesa pubblica, nonché, guardando al profilo eurounitario, per ragioni di tutela della concorrenza e del mercato)”[2].
La forte indicazione del legislatore euro-unitario a limitare i meccanismi di revisione dei prezzi degli appalti pubblici (e, più in generale, di modifica del loro contenuto) per evitare possibili effetti elusivi del meccanismo della gara, in danno della concorrenza, ha condotto la Corte di Giustizia ad affermare che le Direttive dell’Unione europea non ostano a norme di diritto nazionale che non prevedano la revisione periodica dei prezzi dopo l’aggiudicazione[3]. Il principio è sicuramente valido anche alla stregua delle attuali Direttive sui contratti pubblici (Dir. 2014/24 UE considerando 111 e art. 72; Dir. 2014/25 UE considerando 117 e art. 89; Dir. 2014/23 UE considerando 78 e art. 43), che si limitano a riconoscere ai Paesi dell’Unione la sola possibilità di prevedere modifiche ai contratti (anche) mediante clausole di revisione, chiare, precise e inequivocabili, nel rispetto dei parametri indicati.
E’ stato quindi lasciato un limitato margine di scelta agli Stati membri in ordine a come regolare la tematica della revisione (e delle altre modifiche ai contratti in fase esecutiva), in ragione del fatto che la valutazione degli interessi pubblici interni coinvolti sia prerogativa esclusiva di ciascuno di essi.
A tal riguardo, il Legislatore italiano ha, negli anni, bilanciato in modo non univoco le esigenze che inducevano a negare la revisione dei prezzi (cioè, contenere la spesa pubblica, evitare il dispendio delle risorse e, soprattutto, evitare che il corrispettivo del contratto subisse nel tempo aumenti in grado di sconvolgere il quadro finanziario iniziale) con quelle, altrettanto meritevoli, che invece la incoraggiavano (cioè, incentivare la partecipazione alle gare pubbliche evitando il rischio che vadano deserte, garantire la qualità delle prestazioni rese, l’efficienza dell’azione pubblica, la corretta esecuzione contrattuale e il conseguimento del risultato, principio oggi codificato)[4].
Ne è derivata una disciplina altalenante legata ai diversi contesti storico-economici e la conclusione che la revisione prezzi nei contratti pubblici sia attuabile solo in forza di norme speciali ad hoc o di espressa previsione contrattuale, laddove consentita.
II. Il regime previgente
Inizialmente, l’art. 115 del D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 prevedeva l’obbligo di inserimento di una clausola di revisione periodica del prezzo nei soli contratti relativi a servizi e forniture; mentre per gli appalti di lavori era espressamente vietato procedere alla revisione nonché applicare l'art. 1664, co. 1, del Codice civile (art. 133). Per questi, infatti, l’art. 133 stabiliva due differenti metodi di adeguamento del prezzo: il comma 3 prevedeva il regime del c.d. prezzo chiuso, ossia il prezzo dei lavori al netto del ribasso d'asta, che poteva essere aumentato di una certa percentuale stabilita dal Ministro delle Infrastrutture, solo in caso di variazione del tasso di inflazione superiore al 2%; il comma 4 disponeva, invece, una sorta di compensazione al 50% della variazione del prezzo di singoli materiali da costruzione, dovuta a circostanze eccezionali, sempre che la variazione superasse del 10% il prezzo dell'anno di presentazione dell'offerta.
Si riteneva per lo più che il citato art. 115 costituisse una norma imperativa non derogabile, integratrice della volontà negoziale delle parti secondo il meccanismo dell'inserzione automatica o della sostituzione di diritto ex art. 1339 cod. civ. di eventuali clausole difformi, ritenute nulle ai sensi dell’art. 1419 cod. civ.[5] Tuttavia, si specificava che essa, proprio in funzione dei meccanismi revisionali previsti “non comporta[va] anche il diritto all'automatico aggiornamento del corrispettivo contrattuale, ma soltanto che l'Amministrazione proceda[esse] agli adempimenti istruttori normativamente sanciti …”[6].
Con il D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 il Legislatore ha mutato radicalmente rotta, stabilendo che la revisione dei prezzi non fosse più obbligatoria ma soltanto consentita alle condizioni indicate dall’art. 106, co. 1, lett. a), ossia solo se prevista “nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili” e sempre che non venisse alterata la natura generale del contratto. Per i soli contratti relativi ai lavori, si specificava inoltre che le variazioni di prezzo in aumento o in diminuzione potevano essere valutate, sulla base dei prezzari regionali, solo per la parte eccedente il 10% rispetto al prezzo originario e comunque in misura pari alla metà.
La revisione, quindi, non era più prevista come obbligo di legge ma, al contrario, “… ammessa, di regola (salve disposizioni di leggi speciali) solo ove espressamente pattuita”, con conseguente impossibilità di applicarla e riconoscerla al di là dei limiti fissati dall’art. 106, quale norma di stretta interpretazione, in quanto derogatoria al principio dell’evidenza pubblica[7].
Quale ulteriore corollario ne discendeva l’impossibilità di inserimento automatico della clausola revisionale nei contratti secondo il meccanismo previsto dall’art. 1339 cod. civ.
Avvalorata dal testo normativo, rimaneva anche ferma la convinzione che “la revisione dei prezzi non costituisce[sse] né un dovere in capo all’amministrazione, né un diritto del fornitore ma un’evenienza rimessa al raggiungimento di un comune accordo delle parti”[8].
Il quadro ordinamentale appariva quindi piuttosto disorganico e complesso.
III. Il passaggio alla nuova disciplina: la fase intermedia della decretazione d’urgenza
Negli ultimi anni, l’impennata improvvisa dei prezzi derivante dall’emergenza pandemica e dalla guerra in Ucraina ha reso necessario intervenire con decretazione d’urgenza per tentare di compensare/contenere la crisi economica e le sue ricadute sui contratti pubblici. Conseguentemente, la disciplina del Codice del 2016 è stata derogata più volte da norme eccezionali, non trovandosi in essa strumenti atti ad affrontare la portata del fenomeno che tutti ricordiamo.
Come è noto, numerose sono state le misure straordinarie adottate dal Governo per garantire la prosecuzione delle opere pubbliche e la realizzazione dei progetti di investimento legati al rilancio dell’economia e agli impegni assunti nell’ambito del PNRR. In questo frangente, sono stati istituiti appositi Fondi ai quali le Stazioni appaltanti potevano/possono attingere mezzi finanziari, in caso di insufficienza di risorse proprie per fronteggiare il rialzo dei prezzi.
Si ricordano in particolare:
- il Fondo per la Prosecuzione Opere Pubbliche, istituito dall’art. 7, co 1, del D.L. n. 76/2020;
- il Fondo per l’adeguamento dei prezzi, istituito dall’art. 1-septies, co 8, del D.L. n. 73/2021;
- il Fondo Opere Indifferibili (FOI), istituito dall’art. 26, co 7, del D.L. 50/2022.
Inoltre, con il D.L. 27.01.2022 n. 4 (c.d. Decreto Sostegni ter) e il D.L. 17.05.32022 n. 50 (c.d. Decreto Aiuti) sono stati introdotti dei meccanismi straordinari di adeguamento/compensazione dei prezzi, nei limiti e alle condizioni ivi indicate.
Più in dettaglio, con l’art. 29, co 1, lett. a) del D.L. 4/2022 si è disposto che “fino al 31 dicembre 2023”, per le procedure di affidamento dei contratti pubblici con pubblicazione di bandi/avvisi di indizione o invio degli inviti a presentare offerta successivi alla data di entrata in vigore del Decreto (27.01.2022), fossero inserite obbligatoriamente nei documenti di gara iniziali le clausole di revisione prezzi di cui all'art. 106, co. 1, del D. Lgs. 50/2016; mentre con la successiva lett. b) si è aggiunta la previsione, valevole per i soli appalti di lavori, di un meccanismo di compensazione pari all’80% delle variazioni di prezzo dei materiali da costruzione superiori al 5% (ossia per la parte eccedente il 5%)[9].
Con l’art. 26 del D.L. 50/2022 sono state, invece, dettate norme specifiche per la revisione dei prezzi e l’accesso ai suddetti Fondi da parte delle Stazioni appaltanti, per coprire i costi aggiuntivi in caso di insufficienza di risorse proprie.
In estrema sintesi:
· per le lavorazioni eseguite e contabilizzate nel 2022, relative a contratti di lavori aggiudicati in base ad offerte con termine finale di presentazione al 31.12.2021, le Stazioni appaltanti potevano accedere al Fondo per la Prosecuzione delle Opere Pubbliche, in caso di interventi finanziati da fondi PNRR/PNC/commissariati (co 4 lett. a), o al Fondo per l’adeguamento dei prezzi, in caso di interventi diversi (co 4 lett. b), nei limiti delle risorse appositamente stanziate
· per le lavorazioni eseguite o contabilizzate nel 2023, 2024 e 2025, relative a contratti di lavori aggiudicati in base ad offerte con termine finale di presentazione al 31.12.2021, che non avessero avuto accesso ai Fondi di cui sopra per l’anno 2022, nonché relative a contratti di lavori aggiudicati in base ad offerte con termine finale di presentazione dal 01.01.2022 al 30.06.2023, le Stazioni appaltanti potevano e possono accedere al Fondo per la Prosecuzione delle Opere Pubbliche (co 6-quater) nei limiti degli appositi incrementi stanziati
· per le procedure di affidamento delle opere pubbliche avviate dopo il 18.05.2022 (entrata in vigore del DL 50/2022) fino al 31.12.2022 e relative ad interventi finanziati con fondi PNRR, le Stazioni appaltanti potevano accedere prioritariamente al FOI (co 7), per adeguare il quadro economico degli interventi ai maggiori costi derivanti dagli aggiornamenti infrannuali 2022 dei prezzari utilizzati (il FOI era accessibile, in via residuale, anche per gli interventi finanziati dal PNC da ultimare entro il 2026 e per quelli commissariati ed è stato poi esteso indistintamente alle procedure avviate nel 2023 dall’art. 1, co 369 ss, L. 29.12.2022, n. 197).
La normativa innanzi richiamata, emanata nel contesto emergenziale sanitario e internazionale di quella particolare congiuntura storica (i cui effetti si avvertono ancora oggi) è stata ritenuta di natura eccezionale e di essa si è fatta una applicazione rigorosamente contenuta ai soli casi previsti, in ossequio al divieto di interpretazione analogica o estensiva ricavabile dall’art. 14 disp. prel. cod. civ.[10]
Si è ribadita, tuttavia, l’operatività del principio di eterointegrazione del regolamento contrattuale, in caso di mancato inserimento della clausola revisionale ex art. 29, co. 1, lett. a), D.L. n. 4/2022, e di nullità di diritto delle clausole eventualmente difformi dalla previsione di legge[11].
In questo quasi inestricabile groviglio di normative, si è fatta strada un’idea, con intento unificatore della materia, che ha condotto in breve tempo all’emanazione di una nuova disciplina in tema di revisione prezzi ad opera del D. Lgs. 31 marzo 2023 n. 36 (“Codice”) e del suo Correttivo (D. Lgs 31 dicembre 2024 n. 209). Tali testi hanno il pregio, quantomeno, di aver uniformato la disciplina, tentando di semplificarla, e di aver chiarito che le clausole di revisione dei prezzi: 1) sono obbligatorie per tutti i contratti pubblici 2) scattano automaticamente al verificarsi di particolari condizioni 3) devono essere attivate dalla Stazione appaltante anche in assenza di istanza di parte.
Sembra andare nella stessa direzione anche il recente art. 9 del D.L. 21 maggio 2025 n. 73 (in attesa di conversione) che, proprio per agevolare l’esecuzione delle opere pubbliche ed uniformare (alcuni de) i “vecchi” contratti ai nuovi, ha previsto, in via del tutto eccezionale, l’applicabilità retroattiva della novella disciplina sulla revisione prezzi anche ai contratti di lavori affidati ai sensi dell’art. 29, co. 1 lett. a) del D.L. 4/2022 che non abbiano beneficiato dell’accesso ai Fondi “emergenziali” innanzi richiamati, purché ricorrano alcune condizioni. Se ne parlerà più avanti.
IV. La revisione prezzi e la conservazione dell’equilibrio contrattuale nel nuovo Codice
Una forte spinta alla riscrittura della revisione prezzi è stata data verosimilmente dalla Relazione n. 56 dell’8 luglio 2020 dell’Ufficio del massimario della Corte di Cassazione, che – proprio nel pieno della pandemia - evidenziava come “l'ordinamento privilegi la conservazione del contratto mediante revisione, rispetto alla caducazione del rapporto negoziale” offerta dall’art. 1467 cod. civ., valorizzando il ruolo della buona fede oggettiva, che ha “valore d’ordine pubblico, collocandosi fra i principi portanti del nostro ordinamento” ed è “espressione del principio solidaristico che innerva il nostro sistema”.
Si legge nella Relazione che la “buona fede oggettiva nella fase esecutiva del contratto ex art. 1375 c.c. assume assoluta centralità, postulando la rinegoziazione come cammino necessitato di adattamento del contratto alle circostanze ed esigenze sopravvenute” al fine di favorirne la conservazione e che “la rinegoziazione, a fronte di sopravvenienze che alterano il rapporto di scambio, diventa … un passaggio obbligato, che serve a conservare il piano di costi e ricavi originariamente pattuito, con la conseguenza che chi si sottrae all'obbligo di ripristinarlo commette una grave violazione del regolamento contrattuale”.
Queste sollecitazioni sono state colte dalla Legge-delega 21 giugno 2022, n.78 (v. art. 1, co. 2 lettere g e ll) ed hanno condotto alla codificazione, con l’art. 9 del Decreto delegato, del “Principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale” e al riconoscimento del diritto della parte svantaggiata alla rinegoziazione del contratto secondo buona fede. La norma prevede che “se sopravvengono circostanze straordinarie e imprevedibili, estranee alla normale alea, all’ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato e tali da alterare in maniera rilevante l’equilibrio originario del contratto, la parte svantaggiata, che non abbia volontariamente assunto il relativo rischio, ha diritto alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali […]” (co. 1) e specifica che “la rinegoziazione si limita al ripristino dell’originario equilibrio del contratto […]” (co. 2).
In attuazione di tale principio, gli artt. 60 e 120 del Codice hanno regolato, rispettivamente, la revisione dei prezzi e la modifica dei contratti in corso di esecuzione.
Ma che rapporto c’è tra la revisione e la rinegoziazione?
La risposta sembra scritta nel comma 2 dell’art. 2 dell’All. II.2-bis al Codice, introdotto dal Correttivo. Esso prevede che “quando l’applicazione dell’articolo 60 del codice non garantisce il principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale e non è possibile garantire il medesimo principio mediante rinegoziazione secondo buona fede, è sempre fatta salva, ai sensi dell’articolo 12, comma 1, lettera b), la possibilità per la stazione appaltante o l’appaltatore di invocare la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta del contratto”.
Pertanto:
1) il primo strumento di riequilibrio contrattuale è la revisione che – come si dirà – scatta automaticamente al verificarsi di certe variazioni di costo della prestazione;
2) laddove la revisione non basti, la parte svantaggiata può chiedere la rinegoziazione, laddove ve ne siano le premesse e cioè in caso di:
ü circostanze straordinarie e imprevedibili estranee al normale contesto di mercato
ü rilevante alterazione dell’equilibrio originario del contratto
ü mancata assunzione del relativo rischio da parte del richiedente
3) se neanche la rinegoziazione porta il riequilibrio, l’ultimo rimedio resta quello della risoluzione ex art. 1467 cod. civ.
Questa sequenza andrebbe però raccordata con l’art. 120, co. 8, del Codice che afferma: “il contratto è sempre modificabile ai sensi dell’articolo 9 e nel rispetto delle clausole di rinegoziazione contenute nel contratto. Nel caso in cui queste non siano previste, la richiesta di rinegoziazione va avanzata senza ritardo e non giustifica, di per sé, la sospensione dell’esecuzione del contratto. Il RUP provvede a formulare la proposta di un nuovo accordo entro un termine non superiore a tre mesi. Nel caso in cui non si pervenga al nuovo accordo entro un termine ragionevole, la parte svantaggiata può agire in giudizio per ottenere l’adeguamento del contratto all’equilibrio originario, salva la responsabilità per la violazione dell’obbligo di rinegoziazione”.
Perplessità sorgono su vari punti, tra cui:
(i) quali siano i termini entro i quali la parte svantaggiata (verosimilmente l’appaltatore) deve chiedere la rinegoziazione, non ritenendosi ragionevole estendere i termini previsti per l’apposizione di riserve (art. 7 All. II.14) in quanto decadenziali
(ii) se sussista un onere (o un vero obbligo) di agire in giudizio per ottenere la rinegoziazione prima di poter chiedere la risoluzione e che tipo di “condizionalità” sussista, se sussiste, tra le due azioni
(iii) entro che limiti possa il Giudice incidere su un regolamento contrattuale di cui sia parte una Pubblica Amministrazione, sia pur solo per stabilire che la rinegoziazione sia “meritevole” ed a quali condizioni, magari contro la volontà stessa della parte pubblica.
A tali domande e alle altre che le norme richiamate suscitano ci si augura che la casistica giurisprudenziale dia risposta.
V. L’art. 60 del Codice e il suo Allegato II.2-bis
V.1 L’attuale Codice ha reso nuovamente obbligatoria la revisione dei prezzi e l’ha espunta dall’ambito generale delle modifiche al contratto in fase di esecuzione (art. 120) dedicandole l’art. 60, al quale il Correttivo ha aggiunto l’Allegato II.2-bis.
La scelta legislativa può dirsi coerente con la natura dell’istituto, ormai considerato non un sistema per modificare il contratto originario ma solo uno strumento di adeguamento automatico e riequilibrio delle prestazioni, il cui costo è normalmente soggetto a oscillazioni di mercato (l’art. 1 dell’All. II.2-bis ha specificato che deve trattarsi di contratti di durata: lavori di nuova costruzione o di manutenzione e servizi/forniture non ad esecuzione istantanea)[12].
Come rilevato nella Relazione del Consiglio di Stato al Codice “tra i possibili meccanismi di funzionamento della revisione (sostanzialmente riassumibili sotto le due categorie dei sistemi di compensazione e di quelli di indicizzazione) si è scelto, al comma 2, un modello di indicizzazione … allo scopo di facilitare e rendere più rapida e “sicura” l’applicazione della revisione”.
Infatti, diversamente dall’appalto privato (art. 1664 cod. civ.), non si richiede l’elemento della imprevedibilità della variazione o della circostanza che l’ha causata poiché la revisione interviene quando si accerta, attraverso l’utilizzo di certi indici, che il costo della prestazione da eseguire supera, in più o in meno, una certa soglia percentuale che si assume essere ricompresa nella normale alea contrattuale.
Al riguardo, si è correttamente sottolineato che il meccanismo revisionale introdotto dal Codice non ha la funzione di eliminare completamente l’alea connaturata ad un contratto di durata, mediante un automatismo totalmente ancorato ad ogni pur minima modifica dei costi delle materie prime o della componentistica, poiché, se così fosse, la clausola di revisione si trasformerebbe una clausola di indicizzazione, dove il corrispettivo pecuniario della prestazione si modifica parallelamente al modificarsi dell’indice prescelto[13]. La indicizzazione del contratto, infatti, è incompatibile con la revisione: lo specifica il comma 4-ter dell’art. 60 del Codice in caso di contratti di servizi e forniture il cui prezzo non è fisso ma è determinato sulla base di un indice di riferimento.
V.2 L’obbligatorietà delle clausole di revisione – come si è accennato – ha valenza etero-integrativa degli atti iniziali di gara e del regolamento negoziale che siano omissivi o contrari.
Inoltre, è esclusa espressamente la necessità di una apposita istanza di parte per l’attivazione delle suddette clausole: l’art. 3, co. 2, dell’All.II.2-bis stabilisce testualmente che esse “sono attivate automaticamente dalla stazione appaltante, anche in assenza di istanza di parte”, mentre l’art. 60, co. 2, del Codice richiede, quale presupposto per la revisione, il solo “verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva” che determinano una certa variazione del costo dell’opera, del servizio o della fornitura.
A questa tematica se ne aggancia un’altra di natura schiettamente processuale, che meriterebbe un autonomo approfondimento e che ci si limita solo a segnalare. La questione riguarda l’individuazione del Giudice munito di giurisdizione nelle controversie aventi ad oggetto la revisione dei prezzi. Se è vero che l’art. 133, co. 1, lett. e), n. 2 del D. Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 prevede la giurisdizione esclusiva del G.A. in materia, è pur vero che il richiamo contenuto nella norma è “alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell'ipotesi di cui all'articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163” e questo è stato ed è piuttosto fuorviante, in considerazione dei mutamenti di disciplina che si sono susseguiti nel tempo e del diverso modo in cui è stata configurata la revisione. Ne sono derivate pronunce spesso divergenti da parte della giurisprudenza civile e amministrativa, chiamata a decidere anche su fattispecie non disciplinate dal D. Lgs. 163/2006[14]. Oggi, tuttavia, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione riconoscono la sussistenza della giurisdizione esclusiva del G.A. anche qualora la pretesa revisionale derivi da clausole pattizie e non direttamente da fonti normative[15].
V.3 Inizialmente, l’attuale Codice fissava la soglia di rilevanza della variazione al 5% dell’importo complessivo del contratto e la revisione operava per l’80% dell’intero importo della variazione (comprensivo quindi del 5%).
Al fine di rendere autoesecutivo ed immediatamente operativo il meccanismo revisionale, il Legislatore agganciava la suddetta variazione agli indici sintetici elaborati dall’ISTAT entro il 30 settembre di ciascun anno e pubblicati sul suo portale istituzionale. In particolare: a) con riguardo ai contratti di lavori, agli indici sintetici di costo di costruzione (ad oggi, gli indici di costo/prezzo diffusi da ISTAT sono quelli per Fabbricato residenziale, Capannone industriale, Tronco stradale con tratto in galleria); b) con riguardo ai contratti di servizi e forniture, agli indici dei prezzi al consumo, dei prezzi alla produzione dell’industria e dei servizi e gli indici delle retribuzioni contrattuali orarie (tra quelli diffusi da ISTAT, es. Indice di prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati c.d. Foi, Indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività c.d. Nic, Indice dei prezzi alla produzione dei servizi c.d. BtoB ecc.).
Il Correttivo ha modificato l’art. 60 e le percentuali di cui si è detto sono cambiate nell’an e nel quantum.
Per i contratti aventi ad oggetto lavori, la revisione scatta solo se la variazione del costo dell’opera, in più o in meno, supera di oltre il 3% l’importo complessivo del contratto e opera nella misura del 90% di tale esuberanza, applicato alla prestazione da eseguire.
Per i servizi e le forniture, la soglia rilevante ai fini della revisione è rimasta quella del 5% ma la revisione, anch’essa rimasta all’80%, opera - come per i lavori - solo sulla parte eccedente il 5%, applicata alla prestazione da eseguire.
In altri termini, accertata la sussistenza di una variazione rilevante del costo complessivo oggetto della commessa (“an”), mentre, ante Correttivo, l’aumento o la diminuzione del corrispettivo per le prestazioni da svolgere era pari all’80% di tutta la variazione (“quantum”) e quindi la parte svantaggiata sopportava solo il 20% della variazione di costo a suo carico; dopo il Correttivo, la percentuale “coperta” dalla revisione viene applicata solo sulla parte eccedente la soglia rilevante di variazione. Questo nuovo meccanismo che appare tendenzialmente favorevole agli esecutori di lavori (soprattutto in caso di minimi e di considerevoli aumenti dei costi), evidentemente non lo è per quelli di servizi e forniture. A questi ultimi, però, il novello comma 2-bis dell’art. 60 ha riconosciuto la facoltà di prevedere meccanismi ordinari di adeguamento del prezzo agganciati ad indici inflattivi convenzionalmente individuati e, in questo caso, l’incremento di prezzo che ne deriva non è computabile ai fini della revisione.
V.4 Il Correttivo è intervenuto anche sugli indici sintetici di costo cui agganciare la revisione.
Per i lavori (art. 60 co. 3, lett. a, e co. 4-quater), è previsto che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentito l’ISTAT, adotti un provvedimento per individuare gli indici sintetici di costo riferiti alle varie tipologie di lavorazioni che sono indicate alla Tabella A dell’All. II.2-bis (in tutto sono 20 Tipologie Omogenee di Lavorazioni “TOL”, il cui indice va calcolato considerando, tra l’altro, l’incidenza ponderale di 6 elementi: lavoro, materiali, macchine e attrezzature, energia, trasporto, rifiuti).
Si tratta, in sostanza, di un costo “specifico” di ciascun tipo di lavorazione, che poi servirà al progettista dell’opera da affidare per calcolare l’indice sintetico di costo della medesima (art. 4 All. II.2-bis). Costui infatti, in sede di elaborazione del progetto a base di gara, dovrà: (i) scomporre e classificare l’importo complessivo del progetto dell’opera nelle varie TOL che vi siano ricomprese; (ii) calcolare l’incidenza, ossia il peso ponderato, di ciascuna TOL sull’opera da realizzare, prendendo come riferimento l’indice sintetico di costo indicato dal Ministero per ognuna lavorazione; (iii) calcolare, attraverso un algoritmo, la media ponderata degli indici di costo sintetici delle TOL che interessano l’opera da realizzare, ottenendo così l’indice sintetico di questa, che sarà applicato a tutte le lavorazioni oggetto del contratto.
Ai fini della revisione, la variazione di costo è calcolata dalla Stazione appaltante come differenza tra il valore dell’indice sintetico dell’opera al momento della rilevazione e il valore del medesimo al momento dell’aggiudicazione, con la frequenza indicata nei documenti iniziali di gara o, comunque, non superiore a quella di aggiornamento degli indici revisionali applicati al contratto (artt. 3, co. 1, e 5 All. II.2-bis).
Alla rilevazione provvede il direttore dei lavori e la determinazione delle somme dovute a titolo di revisione avviene attraverso l’adozione di uno specifico SAL revisionale che integra quello contrattuale ed il cui pagamento avviene in occasione del SAL contrattuale successivo alla rilevazione.
Per i servizi e le forniture, invece, il Correttivo, ha lasciato immutati gli indici già indicati al comma 3, lett. b), dell’art. 60 (dettagliandoli all’art. 10 dell’All. II.2-bis), salvo aggiungere che, all’occorrenza, essi possono essere utilizzati anche in forma disaggregata e che diversi e specifici indici, riferiti ai vari settori dei contratti, possono essere utilizzati, anche in sostituzione di quelli generali individuati.
La ratio di tale previsione è stata rinvenuta – nel Parere del Consiglio di Stato n. 1463 del 02.12.2024 sul Correttivo – “nell’esigenza di prendere in considerazione le ipotesi in cui un servizio o una fornitura rientrino in diverse categorie, individuate secondo il sistema unico europeo di classificazione (CPV)”.
Infatti, anche l’All. II.2-bis dispone che la Stazione appaltante individui nei documenti iniziali di gara il CPV che identifica l’oggetto del contratto e, in funzione di questo, indichi un unico indice o un sistema ponderato di indici (art. 11) utile per calcolare la variazione dei costi ai fini della revisione.
Con la stessa cadenza prevista per i lavori, le Stazioni appaltanti rilevano la variazione dei prezzi dei servizi e dei prodotti come differenza tra il valore dell’indice o del sistema ponderato di indici al momento della rilevazione e il corrispondente valore al mese in cui è avvenuta l’aggiudicazione (artt. 3, co. 1, e 12 All. II.2-bis).
Viene invece rimessa ai documenti iniziali di gara la definizione delle modalità con cui dovranno essere determinate e pagate le somme da corrispondere a titolo di revisione.
V.5 Quanto illustrato vale anche per il subappalto e per i sub-contratti stipulati per l’esecuzione dell’appalto, ai quali il comma 2-bis dell’art. 119 del Codice, inserito dal Correttivo, ha esteso l’obbligatorietà delle clausole di revisione, prevedendo che queste si attivino al verificarsi delle condizioni oggettive di cui all’art. 60, co. 2, del Codice. E, a seguire, devono applicarsi anche ai casi di subappalto c.d. a cascata, perché l’art. 119, co. 17, del Codice così dispone.
L’estensione della disciplina della revisione, nella sua complessa e articolata fisionomia, ad una “catena contrattuale” così lunga, pur lodevole in linea di principio, lascia percepire non poche difficoltà applicative legate soprattutto all’oggetto dei subappalti e sub-contratti che, come spesso accade, non consiste in una semplice “percentuale” di quello del contratto principale, ma ha una sua connotazione settoriale o strumentale.
In tal caso, non è chiaro quali dovrebbero essere gli indici di riferimento per il calcolo delle variazioni di costo, se: 1) quelli del contratto principale, con il rischio (se non la certezza) che non siano correttamente riferibili alle prestazioni sub-affidate e la conseguenza di un indebito guadagno o di una ingiusta perdita da parte dell’esecutore, oppure 2) quelli che le parti devono individuare autonomamente, partendo dagli indici valevoli per il contratto principale.
L’art. 8 dell’All. II.2-bis sembra andare in questa seconda direzione, ma la strada si perde nei meandri di tale riconosciuta autonomia. Infatti, la norma afferma che le clausole di revisione prezzi devono trovare la loro disciplina all’interno dei contratti di subappalto e dei sub-contratti ed essere “riferite alle prestazioni oggetto del subappalto o del sub-contratto” (co. 1) ed aggiunge che esse “sono definite dalle parti tenuto conto dei meccanismi revisionali e dei limiti di spesa di cui all’art. 60 del codice, delle specifiche prestazioni oggetto del contratto di subappalto o del sub-contratto e delle modalità di determinazione degli indici sintetici disciplinati dal presente allegato” (co. 2).
Detta diversamente, si ribalta sulle parti private, non solo l’onere di perfetta conoscenza dei meccanismi revisionali, ma anche quello di conoscenza dei limiti di spesa emergenti dal Quadro economico dell’opera (soggetto peraltro a variazioni) e di determinazione in concreto degli indici sintetici di costo applicabili al sub-contratto.
Non si stenta a credere, in questo quadro, che più lunga sarà la catena dei sub-affidamenti, maggiore sarà il rischio di svilire la portata della previsione proprio in materia di opere e infrastrutture pubbliche, dove l’utilizzo del subappalto è di grande ausilio.
Discorso analogo vale per servizi e forniture, per i quali l’art. 14 dell’All. II.2-bis richiama l’art. 8.
L’appaltatore è comunque ritenuto responsabile del rispetto degli obblighi di legge; mentre nei casi in cui la Stazione appaltante provveda direttamente a corrispondere il corrispettivo al sub-contraente (art. 119, co. 11), la determinazione e il pagamento delle somme dovute a titolo di revisione avviene da parte della medesima in coerenza con le modalità e i tempi previsti per il contratto principale.
V.6 Per far fronte agli oneri derivanti dalla revisione prezzi, l’art. 60, co. 5, del Codice e l’art. 15 dell’All. II.2-bis dispongono che le Stazioni appaltanti possono utilizzare:
a) nel limite del 50%, le risorse appositamente accantonate per imprevisti di cui all'art. 5, co. l, lett. e), n. 5), dell'All. I.7, fatte salve le somme relative agli impegni contrattuali già assunti, e le eventuali somme a disposizione della medesima stazione appaltante e stanziate annualmente relativamente allo stesso intervento;
b) le somme derivanti dai ribassi d'asta, se non ne è prevista una diversa destinazione dalle norme vigenti;
c) le somme disponibili relative ad altri interventi di competenza della medesima stazione appaltante, per i quali siano già stati eseguiti i relativi collaudi ed emessi i certificati di regolare esecuzione, nel rispetto delle procedure contabili della spesa e nei limiti della residua spesa autorizzata disponibile.
In più, per i contratti di lavori, l’art. 15 dell’All. II.2-bis precisa che le Stazioni appaltanti possono prioritariamente avvalersi degli accantonamenti di cui all’art. 5, co. 1, lett. e) n. 6 dell’All. I.7, destinati specificatamente alla revisione dei prezzi/modifiche contrattuali.
In questa stessa voce del Quadro economico vanno poi iscritte le somme risultanti da eventuali variazioni in diminuzione dei prezzi del costo dei lavori, servizi o forniture.
Infine, l’art. 15 dell’All. II.2-bis stabilisce che, quando le somme complessivamente disponibili per la revisione prezzi risultano utilizzate o impegnate in una percentuale pari o superiore all’80%, la Stazione appaltante deve attivare in tempo utile le procedure per il reintegro delle somme e, nel caso dei lavori, può rimodulare la programmazione triennale o annuale dei lavori ovvero ricorrere alle economie derivanti da possibili varianti in diminuzione del medesimo intervento.
L’intento prioritario del Legislatore, nel prevedere tale rimodulazione per i soli lavori, sembra essere quello di assicurare il completamento delle opere in corso prima di dar luogo a gare per nuovi interventi.
La scelta appare in linea di continuità con la normativa degli ultimi anni che ha riconosciuto preminenza al settore dei lavori pubblici e delle infrastrutture quale strumento di ripresa del Paese e di crescita dell’economia nazionale.
V.7 Va infine evidenziato che il Correttivo è entrato in vigore il 31.12.2024 e non ha previsto una disciplina transitoria con riguardo alle modifiche apportate all’art. 60 del Codice; mentre l’ha prevista per l’All. II.2-bis, il cui art. 16 definisce le procedure alle quali si applicano le sue disposizioni.
In particolare, per i lavori, il citato art. 16 prevede che queste troveranno applicazione solo per le procedure di gara avviate a decorrere dalla data di pubblicazione del provvedimento ministeriale con cui verranno definiti i singoli indici di costo delle TOL (art. 60, co. 4, primo periodo, del Codice), trattandosi di un presupposto condizionante la determinazione degli specifici indici di costo delle varie opere da mettere a gara e, in definitiva, l’attuazione delle previsioni del medesimo Allegato e di quelle dell’art. 60 che vi sono collegate (i.e. commi 3, lett. a, 4 e 4-quater).
Nel frattempo, continuano ad applicarsi, in via transitoria, le disposizioni dell'articolo 60, co. 3, lett. a) e co. 4 del Codice, nel testo vigente alla data del 1° luglio 2023. Ciò significa che gli indici da utilizzare per la revisione restano quelli sintetici di costo di costruzione ad oggi elaborati dall’ISTAT.
Per i servizi e le forniture, invece, le disposizioni dell’Allegato saranno applicabili solo alle procedure di affidamento avviate a decorrere dall’entrata in vigore del Correttivo (31.12.2024). Anche per questi, invero, l’individuazione degli indici revisionali va fatta negli atti iniziali di gara, sicché è chiaro che l’adempimento può riguardare solo le gare successive.
La tecnica legislativa di ripetere (a volte con qualche variazione lessicale) i precetti contenuti negli articoli del Codice anche negli articoli dei pertinenti Allegati (che sono fonti normative di pari valenza e forza) può ingenerare incertezza, nel caso di specie, circa la immediata applicabilità delle modifiche apportate dal Correttivo all’art. 60 del Codice.
Il dubbio cade, ad esempio, sulla applicabilità ai contratti in corso, già regolati dal nuovo Codice, delle nuove soglie di rilevanza della variazione dei costi e delle nuove percentuali da riconoscere (in più o in meno) al contraente privato, contemplate all’art. 60, co. 2, del Codice e anche all’art. 3, co. 3, dell’All.II.2-bis.
Purtroppo, l’interprete di questo complesso - e, spesso, oscuro - sistema di norme codificato si trova frequentemente dinanzi ad incertezze non sempre risolvibili con l’ausilio dei comuni canoni di interpretazione delle leggi.
Tuttavia, per tornare al dubbio espresso, il canone “ubi lex voluit dixit; ubi noluit, tacuit” porta a far prevalere l’idea che la modifica di soglie e percentuali revisionali valga anche per i contratti in corso nati sotto il vigore del Codice (ma ante Correttivo), in quanto l’efficacia del comma 2 dell’art. 60 non è esclusa o rinviata e, logicamente, non presuppone l’attivazione del nuovo meccanismo di rilevazione delle variazioni basato sui nuovi indici [16].
Pertanto la soluzione più convincente, almeno da un punto di vista teorico, sembrerebbe essere che, per i contratti in corso disciplinati dal Codice, relativamente alle prestazioni successive al 31.12.2024, valgono le nuove soglie e percentuali.
Del resto, il comma 5 dell’art. 60 indica compiutamente come coprire gli oneri economici e finanziari della revisione (che già era prevista come obbligatoria ante Correttivo) sicché il “sistema” dell’art. 60 può dirsi ex se chiuso ed operativo pure con i nuovi valori.
Tale conclusione appare coerente con il favore che permea da tempo la normativa in materia di lavori pubblici e che ha ispirato, molto di recente, l’emanazione dell’art. 9 del D.L. c.d. infrastrutture di cui subito si dirà.
VI. La nuova previsione del Decreto c.d. infrastrutture
VI.1 Dalla logica di favore di cui si è accennato è nato anche il novello art. 9 del recente D.L. n. 73/2025, ancora in fase di conversione.
L’articolo si riferisce “ai contratti di lavori affidati sulla base di documenti iniziali di gara redatti ai sensi dell'articolo 29, comma 1, lettera a), del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4” che non abbiano avuto accesso ai Fondi richiamati al superiore paragrafo III (cioè a quelli contemplati all’art. 26, co. 4, lett. a) e b), co 6-quater e co 7, D.L. 50/2022), stabilendo che, per essi, ai fini della revisione prezzi - in deroga a quanto previsto dall’art. 29, co. 1, lett. b) del D.L. 4/2022, dalle clausole contrattuali e dai documenti di gara - si applica l’art. 60 del D. Lgs. n. 36/2023.
La norma, lodabile per l’intento, non è tuttavia di facile lettura.
Risulta subito poco chiaro il richiamo (escludente) al Fondo (adeguamento prezzi) ex art. 26, co 4, lett. b), dal momento che i contratti cui l’articolo in esame si riferisce sono quelli conclusi all’esito di procedure indette a partire dal 28.01.2022 (art. 29, co. 1, del D.L. 4/2022), mentre i contratti per i quali era previsto l’accesso a detto Fondo erano quelli con offerte presentate entro il 31.12.2021.
In secondo luogo, la novella appare riferibile ai soli contratti le cui procedure di gara erano disciplinate dal vecchio Codice (e non a quelli fino al 31.12.2023) poiché, nei contratti stipulati all’esito di procedure regolate dal D. Lgs. 36/2023 (cioè con bandi/avvisi o inviti successivi al 1° luglio 2023), l’art. 60 è divenuto naturalmente applicabile e, con esso, l’inserimento obbligatorio delle clausole di revisione prezzi ivi previste.
Dunque, la nuova norma dovrebbe riguardare i soli contratti risultanti da procedure indette dal 28.01.2022 al 30.06.2023, che non abbiano avuto accesso al Fondo per la prosecuzione delle Opere Pubbliche e al FOI.
VI.2 Così definito il suo ambito applicativo, risulta evidente che la finalità dell’art. 9 in esame è quella di facilitare l’esecuzione dei “vecchi” contratti ancorati a clausole o ad una normativa (art. 29, co 1, lett. b, D.L. 4/2022) meno favorevole della attuale in tema di revisione prezzi, mediante la previsione eccezionale dell’applicabilità retroattiva dell’art. 60, che – post Correttivo – riconosce, come si è illustrato, la revisione per variazioni del costo dell’opera superiori al 3% e nella misura del 90% della parte eccedente la variazione.
La totale assenza di coordinamento dell’art. 9 con le previsioni inserite dal Correttivo al Codice, compreso l’All. II.2-bis, lascia ritenere che il nuovo regime del Codice, come modificato, si applichi in toto a questi contratti (tranne le previsioni dell’All.II.2-bis la cui efficacia è rinviata).
Affinché ciò avvenga, trattandosi di contratti regolati dalla disciplina previgente, la norma in commento richiede che il Quadro economico dell’opera sia in grado di “assorbire” gli oneri che la novella aggiunge.
Pertanto, l’art. 9 in commento - oltre a mantener ferma la necessità di garantire la copertura delle 18 voci di costo indicate all'art. 5, co 1, lett. e), dell'All. I.7 al Codice, attraverso le “somme a disposizione” a ciò destinate – richiede che ricorrano 2 condizioni, volte ad assicurare la coerenza e la “tenuta” del Quadro economico dell’opera, che esprime il suo costo complessivo:
1) l’importo della voce relativa agli “imprevisti” (art. 5, co. 1 lett. e, n. 5, All. I.7) deve restare in linea con la soglia di cui al comma 2 del citato art. 5 (cioè, essere ricompreso tra il 5% e il 10% dell’importo dei lavori e dei costi della sicurezza);
2) deve restare disponibile almeno il 50% delle risorse accantonate per “imprevisti” – detratte quelle relative a impegni contrattuali già assunti – e l’altro 50% deve essere accantonato, insieme alle eventuali ulteriori somme stanziate annualmente per lo stesso intervento, alla voce di cui al co. 1, lett. e), n. 6 del citato art. 5, dedicata alla revisione prezzi (richiamo da intendersi fatto alla voce del quadro economico dell’epoca ritenuta corrispondente).
In sostanza, l’art. 60 si può applicare anche ai vecchi contratti contemplati nell’art. 9 del D.L. infrastrutture, se nel loro Quadro economico (dell’epoca) c’è capienza per farlo, cioè se le somme a tal fine indicate dalla norma in commento (somme per imprevisti e ulteriori somme annuali) possono essere rimodulate ed accantonate, nel rispetto dei “nuovi” parametri del Codice.
Anna Marcantonio (Avvocato)
[1] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 18.11.2024 n. 9212.
[2] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 13.07.2023 n. 6847.
[3] CGUE 19 aprile 2018, causa C-152/17, 19 giugno 2008, C454/06, 17 settembre 2016, C-549/14.
[4] V., tra le tante, Consiglio di Stato, Sez. V, 16.06.2020, n. 3874 e giurisprudenza ivi richiamata.
[5] Cfr. tra le tante, Consiglio di Stato, Sez. III, 12.08.2019 n. 5686; TAR Sicilia, Catania, Sez. II, n. 2544 del 17.08.2023.
[6] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 27.11.2015, n. 5375; Consiglio di Stato, Sez. V, 06.09.2022 n. 7756; Consiglio di Stato, Sez. III, 06.08.2018 n. 4827 e giurisprudenza ivi richiamata.
[7] Consiglio di Stato, Sez. VI, 23.02.2023, n. 1844; Consiglio di Stato, Sez. V, 18.11.2024 n. 9212; Anac, Parere funzione consultiva, n. 14 del 20.03.2024. Da ultimo, cfr. TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, 03.06.2025 n. 604.
[8] Cfr. Consiglio di Stato 1844/2023 cit.
[9] In generale, sulla differenza tra compensazione e revisione prezzi, v. Consiglio di Stato, Sez. V, 30.12.2024 n. 10448: la prima opera per il passato integrando l’importo contrattuale dei prezzi delle prestazioni già effettuate; mentre la seconda attiene agli importi aggiuntivi da riconoscere sui prezzi delle lavorazioni da effettuare ed è un sistema che permette di aggiornare il prezzo complessivo di un contratto pubblico durante la sua esecuzione, cioè di apportare una modifica al contratto.
[10] Cfr. Consiglio di Stato n. 9212/2024 e 1844/2023 cit. V. anche Anac Parere n. 14/2024 cit.
[11] Cfr. TAR Sardegna, Sez. II, 07.04.2023, n. 254; TAR Sicilia-Catania, Sez. V, 27.02.2025 n. 737; Anac, Parere 08.05.2024 n. 222.
[12] Secondo la giurisprudenza prevalente, costituisce principio generale, nell’ambito dei contratti pubblici, che la revisione operi esclusivamente in fase di esecuzione del contratto, quale rimedio al sopravvenuto squilibrio del sinallagma funzionale, e non nella fase antecedente alla stipula. Pertanto, il meccanismo non può essere utilizzato dall’operatore economico aggiudicatario per revisionare i prezzi dallo stesso formulati in sede di offerta, in quanto, “così come nel corso del rapporto contrattuale l’impresa appaltatrice è tutelata, in caso di un esorbitante aumento dei costi del servizio, dall’istituto della revisione del prezzo ovvero dalla possibilità di esperire i rimedi civilistici di risoluzione del vincolo sinallagmatico, nel diverso caso in cui l’evento imprevisto e imprevedibile si verifichi prima della stipulazione del contratto, l’impresa aggiudicataria è tutelata con la possibilità di rifiutare la sottoscrizione del contratto, una volta cessata la vincolatività della propria offerta” (TAR Lombardia-Brescia Sez. I, 10.03.2022, n. 239; Anac, Parere di precontenzioso n. 129 del 02.04.2025)
[13] TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, 13.05.2025 n. 413
[14] Una brillante analisi dell’argomento, sia pur limitata al contesto deciso, è stata fatta dalla quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza n. 489 del 22.01.2025, che ha concluso per la sussistenza della giurisdizione esclusiva del G.A. ed alla quale si rinvia anche per i precedenti della Corte di Cassazione ivi richiamati. Da ultimo, conforme TAR Emilia Romagna-Bologna n. 604/2025 cit.
[15] Corte di Cassazione, SS.UU., 05.02.2025, n. 2934.
[16] In tal senso si è espresso il MIT nel Parere n. 3312 del 03.04.2025, dove si afferma che le nuove soglie e percentuali sono immediatamente applicabili (il quesito era riferito alle procedure di affidamento di lavori avviate a partire dal 31.12.2024).